In onore del Pride Month, desideriamo dare spazio alla comunità LGBTQIA+ di WiseTech. Charlotte West, Specialista della sostenibilità di WiseTech, lavora da circa dieci anni nel campo della sostenibilità aziendale, aiutando le imprese a raggiungere determinati risultati ambientali e sociali.

Charlotte è desiderosa di fare la differenza nel mondo e, come persona che ha fatto coming out “tardi”, ha voluto raccontarci cosa significa per lei il Pride Month, come si può essere di supporto per gli altri e di come le aziende possono creare una cultura inclusiva.

Ti va di raccontarci del tuo percorso lavorativo fino ad oggi e di come sei entrata a far parte di WiseTech?

Lavoro in WiseTech nel team ESG da qualche mese ormai. Il mio team risponde a Andrew Cartledge, il nostro Direttore Finanziario, ma collaboriamo con vari reparti di tutta l’azienda, basandoci su iniziative esistenti e sull’intento di migliorare le nostre attività ambientali, sociali e di governance (ESG), continuando a crescere come azienda.

La giustizia sociale è un tema molto ricorrente per me sia al lavoro sia nella mia vita personale. Ho ottenuto un Master in Sviluppo sostenibile e ci tengo molto all’idea di fare la differenza nel mondo.

Trovo che ciò che fa bene al pianeta, fa bene anche a noi come individui e quindi, di conseguenza, anche alle aziende.

Il Pride Month si festeggia ogni anno nel mese di giugno, ci vuoi raccontare che significato ha per te questo evento?

Il Pride Month viene celebrato in ricordo della rivolta di Stonewall a New York nel 1969, durante la quale le persone gay, lesbiche e trans si sono riunite attorno allo Stonewall Inn, storico locale gay, e si sono finalmente fatte avanti contro anni di discriminazione e brutalità della polizia.

È un’occasione per festeggiare i diritti che siamo riusciti a conquistare ma anche per riflettere sulla discriminazione e sulle difficoltà che molti ancora stanno affrontando in varie parti del mondo. Oltre ai festeggiamenti e alle parate, per molte persone gay, il Pride Month rappresenta un’opportunità per riunirsi e valutare cosa si può ancora migliorare.

Ho fatto coming out solamente qualche anno fa ma, in passato, avevo spesso preso parte al London Pride per supportare la comunità LGBTQ. Ora leggo libri, guardo film, ascolto musica e mi rendo conto di quanto fantastica e piena di vita sia la nostra comunità, ma penso anche a cosa possiamo fare per aiutare i gruppi più emarginati.

Hai voglia di raccontarci un po’ com’è stato fare coming out per te?

Ho avuto il fidanzato fino ai tempi dell’università e ho fatto coming out solamente quando avevo circa trent’anni, il che mi è parso fosse un po’ tardi a suo tempo. Ero felice della mia vita ed ero circondata da persone stupende ma ho sempre sospettato che ci fosse qualcosa che non andava.

In quel periodo sono successi una serie di eventi decisivi. Mio papà è venuto a mancare e così mi sono presa un anno sabatico per viaggiare. Questo mi ha spinto a riflettere sulla mia vita e sul desiderio di dare una svolta. Ho lasciato il mio compagno di lunga data, il che non è stato facile per nessuno dei due ma, a distanza di tempo, ho capito che è stata la scelta giusta.

Mi sento molto più leggera ora senza questo peso che mi attanaglia. Ci sono voluti svariati anni anche perché non ne ero completamente cosciente. Non ho mai pensato: “Oh santo cielo, sono gay e nessuno lo sa”. Diciamo che avevo il sospetto di esserlo ma non me ne sono mai resa conto davvero.

In realtà, non esiste un modo giusto o sbagliato per fare coming out. Ognuno di noi è diverso ed è giusto prendersi il tempo necessario per accettare se stessi. Il mio unico rimpianto è quello di non aver ascoltato il mio istinto e non aver trovato il coraggio di farlo prima.

In che modo la partecipazione e l’interazione con la comunità LGBTQIA+ ti ha aiutato nel tuo percorso?

Negli ultimi 5-10 anni si sono viste sempre più donne gay famose uscire allo scoperto e questo mi ha aiutato a fare coming out. Ecco perché sto rilasciando questa intervista, perché mi sento un po’ in dovere di fare la mia parte raccontando la mia storia. Penso che vedere persone con background diversi dal proprio possa aiutare ad accettarsi.  

Spesso si sente la pressione di “doversi sistemare” entro una certa età: comprare casa, avere un compagno e un bel lavoro. Per questo, si tende a pensare erroneamente che sia troppo tardi. Ma il più delle volte siamo noi stessi a imporci dei limini e la società non aiuta.

Per quanto oggi giorno le persone omossessuali siano accettate dalla società, esiste ancora una forma di stigmatizzazione nell’essere gay o diverso. Credo sia importante creare una società tollerante e paritaria, per diffondere fiducia e serenità tra i giovani in modo da aiutarli ad accettare chi sono veramente.

Le persone gay devono poter essere visibili al lavoro, nello sport e nei media, altrimenti come puoi essere ciò che non conosci?

Com’è cambiata la tua vita dopo aver fatto coming out?

Ho lasciato il Regno Unito e sono venuta in Australia l’anno scorso insieme alla mia fidanzata. Lei è di qui, quindi, se non fosse stato per lei, non mi sarei mai trasferita. Sono cresciuta e ho fatto nuove amicizie. Per un periodo ho vissuto da sola e poi con altre persone, rimanendo in contatto con i vecchi amici. Ho lavorato con delle colleghe gay che mi hanno sostenuta durante il mio coming out e da allora siamo diventate amiche. Può sembrare un po’ smielato, ma c’è davvero una comunità là fuori pronta ad accoglierti.

La morte di mio padre mi ha aiutato a capire che la vita va avanti e bisogna viverla a pieno, altrimenti che senso ha? Vedere come mia mamma è riuscita a farsi forza nonostante la perdita, mi ha fatto capire come sia possibile essere felici benché le cose cambino.

Ora mi preoccupo molto meno di ciò che la gente pensa di me. Sono molto più decisa ed estroversa. Mi sento più forte, equilibrata e aperta al cambiamento. Ho capito che non sempre è la fine del mondo e che, prima o poi, tutto si risolve.

Hai ricevuto supporto quando hai deciso di fare coming out?

La mia famiglia e i miei amici sono stati straordinari, tanto che mi sono chiesta perché non l’ho fatto prima. La coincidenza ha voluto che dopo un mese cambiassi lavoro. La cultura all’interno della nuova azienda si è dimostrata inclusiva da subito e quindi ho potuto essere me stessa fin dal primo giorno. Ovviamente, non è stato facile ma era solo un aspetto della mia personalità e nessuno mi ha mai fatto domande.

Dove mi trovavo prima non mi sentivo molto supportata e probabilmente se fossi rimasta, non sarei riuscita a tirare fuori il mio vero io. Stavo attraversando un periodo difficile e non ero in grado di lasciare la mia vita personale al di fuori del lavoro, spesso non è facile scindere le due cose.

Ho conosciuto delle persone gay con le quali sono ancora amica. E nonostante non ne fossi cosciente a suo tempo, sono riuscite a farmi capire che essere gay è una cosa normale.

Quanto è importante poter essere te stessa sul luogo di lavoro?

Mi rendo conto che, come donna bianca cisgender, non devo affrontare i disagi quotidiani delle persone gay di colore, transessuali o non binarie. Il mio orientamento sessuale non è una cosa che si nota a colpo d’occhio. Quando però parlo della mia compagna al lavoro, è bello vedere che nessuno ti guarda in modo scioccato o sconcertato.

Per fortuna, tutti in WiseTech sono stati estremamente aperti in questo senso. Bisogna arrivare a un punto in cui le persone si sentono a loro agio nel fare domande e tu nel rispondere. In base alla natura del proprio lavoro, ci sono colleghi con cui è necessario interagire più spesso e se non riusciamo a essere noi stessi, è difficile essere completamente presenti.

Che consiglio daresti a chi vorrebbe fare coming out al lavoro ma ha paura?

È una decisione del tutto personale e non ci si deve sentire obbligati, ognuno deve fare ciò che si sente.

Ogni storia è diversa e l’importante è sapersi accettare. Studi hanno dimostrato che fare coming out al lavoro migliora la propria salute mentale e rende più produttivi.

Per prima cosa bisogna capire da dove nasce questa paura. Indubbiamente la pressione da parte della società non aiuta, ma è necessario chiedersi se questi timori sono dettati dalla mentalità esistente oppure se è solo una propria sensazione.

C’è una grossa probabilità che invece i colleghi si dimostrino di supporto e non siano affatto turbati. Nel mio caso, mi sono resa conto che molte cose me le ero messa in testa da sola. Nell'ambiente giusto, il lavoro può essere un ottimo posto per uscire allo scoperto, al di fuori della propria cerchia familiare o sociale.

Perché è così importante per le aziende essere inclusive?

WiseTech si basa sull’innovazione e le persone rappresentano il pilastro fondamentale dell’azienda. Poter quindi attrarre e avere persone di talento è la chiave per raggiungere il successo. Si sa che soprattutto i giovani desiderano lavorare in aziende inclusive e dinamiche.

In più, gli investitori hanno capito che le aziende inclusive sono quelle che ottengono risultati migliori. Esistono studi che dimostrano che le aziende con donne che ricoprono cariche dirigenziali sono finanziariamente più stabili. Senza contare che la diversità di pensiero aiuta a comprendere meglio i clienti e le loro esigenze. I dati demografici stanno cambiando a livello mondiale ed è importante che le aziende si adattino di conseguenza.

Come pensi che le aziende possano essere inclusive e di supporto nei confronti della comunità LGBT?

La visibilità è fondamentale: che sia tramite una rete interna di impiegati o dirigenti oppure dando la possibilità alla comunità LGBTQ di rappresentare l’azienda o parlare durante gli eventi.

Un passaggio essenziale è rivedere le politiche interne per assicurarsi che siano inclusive nei confronti della comunità LGBTQ, comprese quelle relative al congedo parentale per coppie dello stesso sesso. In questo modo, si evitano bullismo e omofobia sul luogo di lavoro.

Inoltre, sarebbe bene utilizzare pronomi neutri per non presupporre l’orientamento sessuale di una persona. L'apprendimento e la formazione sono aspetti chiave su cui le aziende possono concentrarsi. Si potrebbero, ad esempio, organizzare sessioni di formazione sulla lingua inclusiva e sul concetto di alleanza.

Anche l’assunzione del personale gioca un ruolo importante: le aziende potrebbero partecipare a fiere del lavoro e specificare negli annunci che supportano la comunità LGBTQ.

Infine, conta moltissimo anche il ruolo dei manager. È importante avere degli esempi a livello di leadership in grado di guidare il cambiamento, influenzare la politica aziendale, ascoltare il personale e capirlo in prima persona.

Che cosa significa per te l’alleanza e che consiglio daresti a coloro che desiderano essere dei buoni alleati?

Significa poter aiutare le persone che si trovano in situazioni meno privilegiate in termini di classe sociale, religione, razza, genere e sessualità.

L’alleanza consiste nell’informarsi e nel comprendere chi è diverso da noi. Le difficoltà che vivono le lesbiche sono diverse da quelle delle persone transessuali e via dicendo. È necessario conoscere i diversi termini, come ad esempio “non binario”, cercarli su Google, impararli e riflettere sui propri pregiudizi.

Ma nessuno si aspetta che gli altri facciano tutto giusto, non bisogna quindi aver paura di essere umili e chiedere. Io stessa faccio fatica ad adeguarmi a un linguaggio più inclusivo. Può succedere di sbagliare purché sia in modo genuino. L’importante è cercare di sforzarsi benché a volte sia più facile rinunciarci. Ma alla fine, non è così grave.

Se sbagli, non devi prendertela troppo. Correggiti e vai oltre: scusarsi troppo peggiora solamente le cose.  Ciò che conta è imparare, migliorarsi ed essere di supporto.

Nella vita di tutti i giorni è facile presupporre l’identità di genere di qualcuno o del relativo partner, bisognerebbe quindi cercare di pensare prima di parlare e usare un linguaggio più neutro per aiutare le persone a sentirsi incluse.

Se si è testimoni di eventuali ingiustizie o discriminazioni, è fondamentale denunciarle, ammesso che non sia pericoloso. Se si assiste a un attacco o a un insulto, consiglio di farsi avanti, di spiegare che non è un linguaggio appropriato e che non va bene. Lo so che non è facile e nessuno vorrebbe trovarsi in una situazione simile, ma è importante aiutare gli altri e dimostrarsi solidali.